Ecografia e Screening del I trim
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SCREENING DEL PRIMO TRIMESTRE DELLE CROMOSOMOPATIE (S. di Down)
TRANSLUCENZA NUCALE
Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, l’unico modo per stabilire con sicurezza il cariotipo del feto e cioè il suo corredo cromosomico, per escludere malattie come la Sindrome di Down, è il prelievo del liquido amniotico o dei villi coriali. Si tratta di indagini invasive, che prevedono l’uso di un ago che attraversa l’addome materno e l’utero, per il prelievo rispettivamente di liquido amniotico (il liquido in cui è immerso il feto) o di un campione di villi coriali (parte del tessuto placentare). Da questi campioni si riescono a ricavare cellule del prodotto del concepimento, la cui analisi consente di conoscerne il cariotipo. Effettuando analisi del DNA di tali cellule è anche possibile fare diagnosi prenatale di malattie genetiche note, come l'anemia mediterranea, la fibrosi cistica, diagnosi di paternità, ecc. Con analisi più sofisticate (CGH Array) si ottiene un'analisi a più alta risoluzione, estendendo ulteriormente le capacità diagnostiche. Di recente acquisizione è la possibilità di effettuare l'analisi del DNA libero fetale nel sangue materno. E' un prelievo che si effettua nel primo trimestre, ma possibilmente non troppo presto. Un prelievo in epoca idonea consente di rilevare una sufficiente frazione di DNA fetale libero nel sangue materno, con un risultato pià attendibile. E' conosciuto anche con la sigla NIPT (non invasive prenatal test). La massima attendibilità per questo esame è sulla sindrome di Down (trisomia 21) e sulle altre principali trisomie. Ha comunque un costo elevato e quindi per il momento non è proponibile a tutte le gravide, ma altamente consigliato. Solo in alcune regioni italiane vi sono dei programmi di screening effettuate dal SSN, che prevedono in casi selezionati tale test gratuitamente. Tutte le altre alterazioni, diverse dalle principali trisomie, non hanno la medesima sensibilità e vanno considerate alla stregua degli altri screening.
Il ricorso alle procedure invasive (villocentesi e amniocentesi), per quanto eseguite a regola d’arte e sotto guida ecografica, non è del tutto privo di rischi. Infatti occorre accettare un piccolo rischio di aborto aggiuntivo (cioè in aggiunta al rischio che ogni gravida già ha di abortire), pari a allo 0,5-1% e cioè un aborto ogni 100-200 amniocentesi eseguite. Per questo motivo non tutte le gestanti scelgono di sottoporsi a tali procedure, che già nel passato, per lo stesso motivo, venivano riservate solo alle pazienti che avevano superato i 35 anni d’età, in ragione dell’aumento delle cromosomopatie oltre tale età. Purtroppo le cromosomopatie, fra cui la Sindrome di Down, si verificano anche prima dei 35 anni e anzi paradossalmente se ne osservano di più perchè è maggiore il numero di gravidanze Tale dato tuttavia negli ultimi anni tende a capovolgersi in quanto sono sempre di più le donne che hanno gravidanze dopo i 35 anni. Sorge quindi il dilemma se sottoporsi alle procedure invasive accettando il piccolo rischio di aborto dello 0,5-1% o se non far nulla e fidare nella buona sorte. Tra queste due situazioni estreme e opposte esistono possibilità intermedie. Gli sforzi degli studiosi sono stati orientati negli ultimi anni nella ricerca di un metodo di screening che fosse in grado di individuare quelle gravide che presentano un rischio aumentato di avere un feto affetto da cromosomopatia, in modo da proporre l’amniocentesi solo a quelle così individuate. Cioè, al posto di fare l’amniocentesi a tutte, si esegue un test che, fra tutte le gravide, individua quelle che hanno un rischio aumentato e solo a queste ultime si fa l’amniocentesi. Se il test ha una buona affidabilità, in questo modo si può eseguire l’amniocentesi solo ad un ristretto numero di gravide del gruppo sottoposto a screening, fidando di individuare tutti i Down presenti nell’intero campione esaminato. Ancor più le pazienti risultate positive allo screening possono essere sottoposte al test sul DNA fetale non invasivo, su sangue materno, riducendo ancor di più le procedure invasive.
In cosa corrisponde lo screening:
1) un’ecografia particolarmente accurata, che si esegue a 12-13 settimane, per lo studio di segni particolari, come la translucenza nucale e la presenza o meno delle ossa nasali del feto, il rigurgito della tricuspide, il dotto venoso, il Doppler delle arterie uterine, nonchè di tutti i parametri biometrici e morfologici rilevabili a quest’epoca gestazionale. I dati ricavati vengono immessi nel computer con l’uso di un particolare software che è in grado di calcolare il rischio individuale per ciascuna gravida. Gli operatori abilitati a questo particolare esame ecografico sono inseriti in un apposito elenco redatto ogni anno dalla Fetal Foundation di Londra, che lo aggiorna in base ad apposite verifiche annuali della capacità di eseguire l'esame secondo le direttive, consultabile a questo link
a questo può aggiungersi:
2) Un prelievo di sangue venoso della gravida per il dosaggio di due parametri, la free beta-HCG e la PAPP-A (bi-test), due marcatori che possono variare se il feto è normale o se invece è affetto da talune cromosomopatie come le trisomie 21 (Down), 13 e 18. Esistono anche altri marcatori che possono accrescere l'accuratezza dello screening anche per altre condizioni, cone la preeclampsia e il difetto di accrescimento. Anche i risultati di queste analisi vengono immessi nel computer e integrati con i dati della paziente, come la sua età, il peso corporeo, abitudine del fumo, l’etnia, ecc. Analogamente al test ecografico, il computer è in grado di calcolare il rischio individuale per ciascuna gravida. Inoltre il risultato del test biochimico viene integrato con il test ecografico, fornendo il calcolo del rischio combinato (biochimico+ ecografia) che al momento rappresenta un test ad attendibilità più elevata, circa 90%.
CHI DEVE SOTTOPORSI AI TEST DI SCREENING:
L'esame è in grado di fornire informazioni utili a tutte le donne, quindi è consigliabile in genere a chiunque sia in gravidanza indipendentemente dall'età.
Teoricamente coloro che hanno già deciso di sottoporsi a diagnosi prenatale invasiva con villocentesi o amniocentesi, perché hanno l’esigenza di una diagnosi certa, non soltanto basata sulla percentuale di rischio, potrebbero scegliere di non sottoporsi a questi screening della translucenza nucale, ma questo limitatamente alle anomalie cromosomiche. Così come alle pazienti di età superiore ai 40 anni, che hanno già un rischio di base considerato elevato, si consiglia l’amniocentesi. Tuttavia anche per costoro i test di screening sono in grado di fornire una risposta adeguata, perché il software considera anche il fattore età, conferendogli un’alta significatività. Bisogna ricordare che lo screening del primo trimestre nelle pazienti over 35 consente l'individuazione del 90% dei casi anomali, riducendo però del 75% il numero di diagnosi prenatali invasive. Inoltre la disponbilità dei più recenti test su DNA fetale non invasivi (NIPT) rende ancora più semplice e sicuro individuare le pazienti che hanno un feto affetto dalle principali trisomie (21, 13 e 18) riducendo davvero al minimo la necessità delle procedure invasive. Lo screening della translucenza nucale non viene reso inutile dalla disponibilità del NIPT, in quanto rappresenta uno screening anche di altri fattori, come le cardiopatie congenite, il rischio di preeclampsia, di difetto di accrescimento fetale, di parto prematuro e quindi è sempre consigliabile anche in chi si sottopone al NIPT. Ultimo ma non meno importante è che nell'ecografia dello screening del primo trimestre viene fatta già una valutazione anatomica del feto, nonostante l'epoca gestazionale precoce, per cui molte malformazioni possono essere già diagnosticate o sospettate anche prima dell'ecografia cosiddetta morfologica.
Quando si eseguono i test di screening
L'esame della translucenza nucale può essere eseguito da 11 a 13,6 settimane di gravidanza. Il prelievo di sangue per duotest (che non necessita di digiuno) e l'ecografia possono anche essere eseguiti in due momenti differenti, purchè compresi nell'epoca idonea. Il prelievo per il NIPT è suggerito dopo le 11 settimane, perchè dà maggiori garanzie di ottenere una frazione di DNA fetale libero nel sangue materno.
Cosa fare se il rischio risulta aumentato ?
Bisogna ricordare che se il risultato del test non è nella norma (in genere quando il rischio è superiore a 1:250, per esempio 1:150 o 1:100 o 1:50 ecc.), ciò suggerisce solamente l'opportunità di indagare in modo più approfondito con altri esami, come il NIPT e/o la diagnosi prenatale invasiva (amniocentesi), e non significa necessariamente che il vostro bambino abbia dei problemi. Se per esempio il rischio risultante è di 1 a 100, vuol dire che, date 100 pazienti uguali, con lo stesso test, 99 avranno un bimbo sano, e una soltanto un Down. E' importante che sia chiaro questo concetto, perchè le 99 col feto sano, di fronte al loro risultato dell'amniocentesi possono erroneamente concludere che il loro test fosse sbagliato. Nientaffatto! Grazie al test avremo individuato un Down senza eseguire l'amniocentesi a tutte le gravide, ma solo ad un piccolo gruppo. E' questo proprio il significato dello screening. Se avessimo un test in grado di scoprire con sicurezza tutti i Down, non sarebbe un test di screening, ma un test diagnostico.
Se la traslucenza nucale è particolarmente elevata ed i cromosomi del feto sono normali è consigliabile eseguire un'ecocardiografia fetale attorno alle 21 settimane dato che questo segno può essere un campanello d'allarme per patologie cardiache.
PARLIAMO DI TEST DI SCREENING DEL PRIMO TRIMESTRE, TRANSLUCENZA NUCALE E DINTORNI
(risposta sollecitata da numerose domande e perplessità sollevate dalla pazienti):
Ho visto molta confusione nei post e nelle risposte su questo argomento, tanto che avrei voluto intervenire quasi in tutti, soluzione impossibile. Soprattutto vedo una ricerca forsennata di quale sia il test migliore, il più affidabile, dove eseguirlo. Allora cercherò di fare chiarezza. Deve essere innanzitutto chiaro che un test di screening è diverso da un test diagnostico. Un test di screening serve a individuare nell’ambito di una popolazione quei pochi casi da sottoporre ad un approfondimento diagnostico. Dato cruciale è che il test di screening dà una risposta del tipo “quella malattia può esserci”, mentre il test diagnostico dice “sì” o “no”.
Perché allora non fare direttamente il test diagnostico? Lo scopo di passare per lo screening è di limitare il test diagnostico solo a pochi casi, considerando i suoi costi (il NIPT, che non è ancora propriamente diagnostico, ma abbastanza accurato, per esempio è particolarmente costoso, come anche le procedure invasive), le difficoltà, le risorse da impegnare, il tempo e soprattutto i rischi. Quest’ultimo aspetto è quanto mai importante nel caso di test invasivi in diagnosi prenatale come l’amniocentesi e la villocentesi, che comportano, come si sa, un rischio di aborto. Gli altri aspetti potrebbero infatti essere trascurabili di fronte all’esigenza così sentita di accertare se il feto è affetto o no dalla sindrome di Down e/o altre malattie cromosomiche. Oltretutto, considerando ormai accertato in tutto il mondo scientifico un rischio di aborto aggiuntivo dello 0,5-1%, bisogna accettare che si ha almeno 1 aborto ogni 200 amniocentesi/villocentesi. Questo è un dato scientifico supportato da valida letteratura internazionale basata su studi ben eseguiti e non finalizzati a individuare quale centro pubblico o privato sia migliore di un altro. Potrei ad esempio anche dimostrare che nella mia casistica ho un tasso di aborto dello 0,01%, quindi 100 volte migliore di quello pubblicato, perché magari scelgo accuratamente il tempo di osservazione e limito l’analisi dei miei dati al giorno dopo. Quindi attenzione a come si analizzano i dati via via propagandati.
La conseguenza è che su 1000 amniocentesi/villocentesi perderemo 5 feti sani, su 10000 50 e via così. Sani! E poi aggiungiamo anche quelli affetti da cromosomopatia che comunque saranno terminati. Brutto termine eh? Ma è quello giusto. E oltretutto i feti affetti sono anche decisamente meno dei 50 sani che si perdono su 10000.
E allora, se riusciamo a comprendere questa premessa, ecco che lo screening assume un valore inestimabile, anche per le donne che hanno superato i 35 anni, che ancora si sentono affermare “ha detto il mio medico che l’amniocentesi alla mia età è obbligatoria” (!!!!!!!). Io credo che questa sia una delle più grosse bufale. Far credere che una procedura che può farmi abortire E’ OBBLIGATORIA! Ma cos’è? Una tassa? Una vaccinazione? Un’indagine invasiva con rischi per il feto non può e non deve essere obbligatoria. Andrebbe chiesto un consenso addirittura al feto se potesse esprimerlo! Essa rappresenta una scelta ponderata, informata e ragionata e nessuno, medico o familiare che sia, può arrogarsi il diritto di consigliare o sconsigliare, imporre o escludere, e comunque influenzare la scelta della donna. Ammetto che il papà del feto debba avere il diritto di dire anch’egli al sua, ma auspico comunque una scelta comune della coppia. Ma chi è al di fuori taccia per favore. Anche quella frasetta “io non me la farei”, detta così con aria sufficiente dalla zia che immancabilmente accompagna la giovane donna dal medico, è molto pericolosa perché può interferire con una scelta importante.
Ma torniamo allo screening. Un test che riesce a dire se il rischio di cromosomopatia è elevato o basso può aiutare in questa difficile scelta. Nei programmi sanitari dei vari ministeri o organizzazioni della sanità del mondo vengono stabiliti dei cutoff, cioè dei limiti oltre i quali viene, più che consigliata, offerta l’amniocentesi/villocentesi gratuitamente a spese del Servizio Sanitario Nazionale. In alcune regioni viene anche offerto il DNA fetale (NIPT) a quelle pazienti che mostrano un rischio elevato nello screening della translucenza nucale. Sono valori che cercano di ottenere il miglior compromesso fra sensibilità e specificità, cioè la capacità del test di individuare, fra le pazienti positive al test, il maggior numero di feti affetti e il minimo dei falsi negativi, evitando un numero eccessivo di amniocentesi e quindi di perdite fetali dovute all’indagine invasiva. Ormai, con i migliori test attualmente in uso, abbiamo raggiunto una sensibilità di circa il 90%, e con il NIPT del 99% per i Down, che significa davvero individuare quasi tutti i feti affetti utilizzando tali test non invasivi. Certo qualcuno può sfuggire: ecco l’enorme differenza fra un test di screening e uno diagnostico, ma l’enorme vantaggio è di non correre un rischio ben più elevato di perdere la gravidanza di un feto sano per ostinarsi ad ogni costo ad eseguire un’amniocentesi, per di più se propinata come obbligatoria. Il vantaggio di questa politica sanitaria ovviamente è grande per una grande popolazione di gravide: quando si chiuderanno i conti lo screening avrà individuato quasi tutti i Down e ridotto il numero delle amniocentesi, perdendo così solo un piccolo e irrisorio numero di feti rispetto ai tanti che si perdevano facendo l’amniocentesi a tutte.
Certo per quella paziente, sfortunata, che dovesse cadere fra quelle che i test non riescono a individuare, interpreterebbe come nullo il vantaggio dello screening. “A saperlo che il test era sbagliato, facevo direttamente l’amniocentesi!” potrebbe dire. Ma anche le 249 delle 250 positive al test, che fanno l’amniocentesi e risultano avere un feto sano, potrebbero dire “mi hanno sbagliato il test, mi hanno indotto a fare un’amniocentesi inutile!”. Sono due valutazioni affrettate ed errate, spesso favorite anche da alcuni operatori sanitari, medici o ostetriche, che ahimè hanno capito ancor meno il significato del test. “E’ un test inaffidabile, non dà nessuna sicurezza, che lo fa a fare” si sente ancora dire. Invece, medicina dell’evidenza alla mano, i dati sono ben altri.
Una volta compreso qual è il significato dello screening passiamo ad affrontare il secondo problema: qual è il migliore?
Nel passato lo screening era rappresentato dall’età. Tutte le gravide di età superiore a 38 e successivamente a 35 anni “dovevano” fare l’amniocentesi. Le gravidanze di queste pazienti erano davvero poche perché il maggior numero si osservava ad età inferiori. L’età superiore ai 35 anni individuava solo il 30% dei feti affetti da S. di Down, perché anche se ad età inferiori il rischio è più basso, all’epoca erano molto ma molto più numerose le gravidanze delle più giovani. Oggi che nel mondo occidentale c’è un’inversione di tendenza, ed è molto elevato il numero di gravide di età superiore a 35 anni (e continua ad aumentare), questa strategia esporrebbe (e di fatto accade) ad un numero esagerato di amniocentesi con conseguente perdita di un esagerato numero di feti sani a causa delle indagini invasive. E comunque continuerebbero a nascere tanti feti affetti da sindrome di Down dalle gravide di età inferiore. Vale a dire un test con una sensibilità davvero scadente. Quindi si sono studiati test che potessero aggirare questo inconveniente. Dapprima c’era il triplo test, che, eseguito correttamente a 4 mesi, aveva e ha tutt’oggi una sensibilità del 60%. Direi non ottimale, anche se, applicato ad una vasta popolazione di gravide, comunque consentiva di individuare un buon numero di feti affetti in pazienti di età inferiore a 35 anni che, in assenza di test, non avrebbero per niente fatto l’amniocentesi. Quindi comunque un buon risultato, ma ancora lontano dal nostro scopo di individuare se non tutti, quasi tutti i feti affetti.
Successivamente, grazie al miglioramento degli apparecchi ecografici, nonché dell’esperienza e soprattutto la diffusione a livello mondiale di tale tecnica non invasiva, che utilizza gli ultrasuoni, si sono potuti studiare tanti piccoli segni osservabili nei feti anche nei primi mesi di gravidanza e cioè in epoca utile per approfondire le indagini. Dapprima c’era solo la plica nucale, che, se spessa, aumentava il rischio di Sindrome di Down; successivamente si aggiunsero altri segni, alcuni più evidenti, altri più piccoli e difficili da individuare. Tra questi la translucenza nucale, la NT (nucal translucency degli angloassoni), ha assunto particolare valore. Si tratta di una piccola area di edema dietro la nuca del fetolino di tre mesi, che i feti affetti da cromosomopatia (e anche da cardiopatia) hanno più spessa. Si è individuato un collegamento molto stretto fra spessore di tale translucenza e rischio di Sindrome di Down, correlabile ad età della paziente e all’epoca gestazionale. Cioè si sono stilate delle curve e degli algoritmi per calcolare il rischio di Sindrome di Down partendo dallo spessore della NT e considerando età della paziente, epoca gestazionale ed altri fattori come la frequenza cardiaca. Il metodo per tale calcolo si è affinato sempre di più scoprendo e valutando altri segni, fra i quali i più noti sono le ossa nasali, la valvola tricuspide, il dotto venoso, ecc. Inoltre i ricercatori hanno descritto tanti altri segni non patologici anche al 4° e 5° mese, come i focus iperecogeni intracardiaci, la dilatazione della pelvi renale del feto, le cisti dei plessi corioidei, che hanno inizialmente allarmato molto, ma che poi si sono ridimensionati e definiti “soft markers”. Si è visto infatti che, quando isolati, sono di scarso valore, ma che assumono maggior valore se associati in vario modo. Lo stesso significato si può dare a piccole malformazioni come l’arteria ombelicale unica, labioschisi, piede torto, ecc.
Contemporaneamente si sono studiati i test biochimici, eseguibili su un campione di sangue della gestante, anzi si sono affinati, in quanto già il triplo test era un test biochimico. Il duo test è attualmente fra questi il più noto, e consiste nel dosaggio di due marcatori fetali, la free-beta-HCG e la PAPP-A. Anche in questo caso, con l’osservazione nel tempo di un gran numero di feti e dell’esito alla nascita, si sono costruite delle curve di distribuzione delle mediane di questi marcatori. Dalla valutazione computerizzata dei valori e dal rapporto fra i due marcatori si è stabilita la distribuzione delle gravide con un feto normale e la distribuzione invece di quelle con un feto affetto. Tale calcolo è stato anche affinato considerando fattori come l’abitudine del fumo, l’epoca gestazionale, il peso e l’età della gravida, ed altri: questo è il motivo delle tante domande, quando andate a fare il prelievo per il duo test. Le due distribuzioni, dei feti affetti e dei feti non affetti, si scostano in modo significativo, anche se non sono del tutte separate, o avremmo trovato la soluzione finale.
Quindi anche il duo test è in grado di calcolare il rischio per sindrome di Down, sempre non trascurando il fattore età, che rappresenta comunque il dato di partenza dal quale si calcola il rischio con il test successivo.
Si è quindi calcolato che il test ecografico da solo, o meglio associato all’età, ha una sensibilità del 70% e anche il test biochimico ha una sensibilità del 70%. Ma eseguendo i due test assieme, combinandoli e correlandone i risultati, si è raggiunta una sensibilità che ha toccato il 90%, quindi un ottimo risultato. Nessun altro test di screening in medicina ha una sensibilità così elevata. E ancora c’è chi dice che è “inaffidabile” !!!
Esistono anche altri test, o meglio altre sequenze di test, che prevedono per esempio l’integrazione di test aggiuntivi dopo quello del primo trimestre, da effettuarsi al 4° mese, ma si è visto che, a fronte di miglioramenti della sensibilità di 1-3 punti, per esempio dal 90% al 92-93%, comportano un dispendio di risorse e tempo, ansia e stress notevoli, che non sono bilanciati da un aumento significativo di diagnosi rispetto al solo duo test biochimico con la translucenza nucale, né riducono le amniocentesi.
Di ultima generazione, come ho spiegato c'è il test sul DNA fetale libero su sangue materno (NIPT) molto efficace, pressochè diagnostico come un'indagine invasiva (amniocentesi e villocentesi), ma solo sulle principali trisomie. Per le altre anomalie resta da considerarsi alla stregua di un test di screening con una sua sensibilità che non è paragonabile a quella che si registra per la Sindrome di Down.
Quanto finora spiegato parte comunque dalla certezza che i vari test, e soprattutto le indagini di laboratorio e l’ecografia, siano eseguiti allo stato dell’arte da personale ben qualificato e con esperienza in tale settore. Infatti non ho detto ancora che il calcolo cruciale di quel numerino che esprime il rischio finale, derivante da tutte queste cose che ho enumerato e descritto, viene eseguito dal computer, o meglio da un software molto sofisticato, che non solo riesce a considerare tutti i fattori, ma è continuamente aggiornato grazie ai tantissimi casi esaminati in tutto il mondo. Sono sicuramente molteplici i vari software e ovviamente ogni autore giura che il suo è il migliore. Alcune ditte che producono gli strumenti e i reagenti per le indagini biochimiche forniscono un proprio software, poi ci sono quelli delle società scientifiche, come la Fetal Foundation di Londra che fa capo al Prof Nicolaides, e altri ancora europei, americani, ecc. Sono tutti progettati bene, anche perché sono realizzati da esperti di matematica statistica, pur se con dati di tipo medico, e quindi a mio avviso non si può in nessun caso fare la differenza e affermare che uno può essere migliore dell’altro. Quello che fa la differenza è la professionalità, la serietà e anche la passione di chi esegue il test, sia il biochimico, che comunque è realizzato da apparecchi seppur azionati dall’uomo, ma soprattutto il test ecografico. Ne dico una per tutte: se la misura della NT, la translucenza nucale, o il rilievo degli altri segni, come le dimensioni del feto, vengono effettuate in maniera approssimativa o talvolta del tutto sbagliata, se ne va a pallino tutto il sofisticato calcolo computerizzato. Ed ecco che allora senti dire “non farlo questo test; ci sono tanti falsi positivi; tizia ha fatto il test eppure le è nato un feto con sindrome di Down; mi hanno fatto spaventare per niente; mi hanno sbagliato il test” e forse su quest’ultima osservazione potrebbero aver ragione. Ma test sbagliato non è quello delle 249 su 250, spaventatissime, che fanno l’amniocentesi, di cui una sola ha il feto affetto. Semmai test sbagliato è quello delle 1000 che hanno avuto un buon risultato con un test fatto male e che, solo per pura fortuna, hanno avuto un feto sano, senza spaventarsi dopo il test.
Come fare allora? Informarsi se il centro dove si intende rivolgersi ha operatori esperti, che curriculum hanno, dove hanno eseguito la loro formazione, se hanno un qualche accreditamento di una riconosciuta società scientifica, soprattutto se hanno a cuore l’idea di ridurre e non di aumentare i test invasivi. Un test deve avere lo scopo di migliorare e non di peggiorare la salute offerta ai pazienti che lo scelgono. Se si viene a conoscenza di un gran numero di test positivi e di tante amniocentesi/villocentesi indotte dal test eseguito da un dato centro è possibile che vi sia interesse a indurvi a fare l’amniocentesi. Se invece vedete che l’operatore che fa il counselling, cioè che vi dà tutte le spiegazioni, e ha l’obbligo di farlo, ha in cuore l’idea di evitarvi l’amniocentesi, invece che trovare il pretesto per farvela, allora quello è un buon professionista, che conosce bene e condivide i risultati dell’evidenza scientifica. Guardate anche i referti oppure come vi sono illustrati. Sono chiari? Avete capito tutto? O andate via nel panico più totale, non avendo capito un bel niente, o peggio essendovi fatta l’idea che tanto vale e in ogni caso fare l’amniocentesi? Scrivete una email ai vari siti che offrono risposte online di "probabili" esperti? riportando minuziosamente tutti i numeretti, spiegando ogni cosa e sperando in un santo che vi dica “tranquilla è tutto a posto”? Beh allora non avete avuto un buon test, perché è mancato un adeguato ed efficace counselling che vi spiegasse il vero significato di quel referto. E chi non è in grado di farvelo capire, forse (Einstein docet) non lo ha capito neanche lui… perché non è proprio semplice semplice.
Infine nelle pazienti giudicate positive al test della translucenza nucale, prima di sottoporsi ad amniocentesi, può essere consigliato il NIPT. L'interpretazione alla fine di tutto l'iter affrontato spetta allo specialista che con apposito counselling alla coppia, aiuterà a decidere se proseguire con un esame invasivo o meno.
Dott. Salvatore Annona